Back Archivio Fuoristrada Marco Buttaglieri e Salvatore Gelli incantano Rondissone

Marco Buttaglieri e Salvatore Gelli incantano Rondissone

Rondissone (To) - Un’assolata domenica dicembrina accoglie in quel di Rondissone gli atleti pronti a disputare la sesta prova del campionato provinciale di Ciclocross tredicesimo capitolodella Coppa Csain Piemonte di ciclocross, magistralmente organizzata da due appassionati di questo sport Arturo Ferraris e Piero Mezzo.

Percorso modificato rispetto gli anni passati con due salite non facili subito dopo il traguardo, che rendono più interessante e tecnico il ciclocross. Oltre settanta i partecipanti. Prima partenza cadetti, junior, senior e veterani: partenza bruciante di Sedici, subito superato da Buttaglieri. Come al solito sorprende Favaro che ha una partenza meno dinamica, Buttaglieri sembra guadagnare nei primi giri ma scorrendo i chilometri il diesel Favaro riesce a ricucire lo strappo e prendere la testa, seguito come un’ombra da Marco. Finale mozzafiato, volata a due, esce dalla curva Favaro ma Buttaglieri con una progressione lo raggiunge sul palo di arrivo. I due gentleman Gelli e Olivetti, primi della seconda fascia, che all’ultimo giro sono transitatiprima del passaggio dei due battistrada, non hanno sentito il suono della campana dell’ultimo giro e, superati da prima dell’arrivo da Favaro e Buttaglieri, non si sono resi conto che anche la loro gara finiva, tagliando il traguardo con lo stupito Gelli su Olivetti. Più staccato un sottotono Bianco Dolino, molto bravo Volpi sesto assoluto (primo Super A) e uno strabiliante Bonomo tredicesimo (primi Super B). Prima donna Etossi Simona su Actis Tiziana, Barengo (futuro dei ciclocross) primo dei Primavera. Premiazione unica per valore con fiori e prodotti gastronomici nei locali del centro sportivo, messi a disposizione dalla giunta comunale, dove la signora Ferraris con la sua e nostra amica Anna si sono operate per rifocillare gli infreddoliti atleti con un buffet e degno di manifestazioni più blasonate.

Rondissone. Le origini del Borgo sembra siano antichissime, forse celtiche, tuttavia non esistono, a tutt’oggi, indagini storiche che possano avvalorare quest'affermazione, sospesa tra la verità e la leggenda. Probabilmente l'abitato sorse sull'antica strada che partendo da Quadrata, nei pressi di Chivasso, giungeva sino ad Eporedia, l'odierna Ivrea. Purtroppo, anche riguardo a tempi meno remoti, gran parte della documentazione storica relativa alle vicende del comune è andata perduta. Inoltre, molto del materiale contenuto nell'Archivio Storico Comunale attende di essere esaminato, in modo da poter approfondire e ampliare le poche notizie edile sulla storia del paese. Tra queste, di Rondissone parla  A. Bertolotti che, nelle sue "Passeggiate nel Canavese", offre una breve descrizione del comune nella seconda metà dell’ Ottocento e qualche informazione sul suo passato. Nel 1164 Rondissone (o Rondizene o Rondezone come si legge in un documento del 1203) veniva donato dall'Imperatore Federico I°  Barbarossa al Marchese del Monferrato. Nel sec. XIII il comune costituiva un feudo minore di proprietà della Chiesa d'Ivrea. In seguito passò sotto la giurisdizione dei Conti di Valperga, Signori di Mazzè e nel 1355   l'Imperatore Carlo IV di Boemia lo riconfermava ai Marchesi del Monferrato. Nell'ambito delle contese tra la casa Sabauda e i Marchesi Monferrini, a seguito di una precisa accusa mossa dalla nobiltà canavesana ai feudatari di Rondissone .di aver dato più volte passaggio a certi offensoribus che andavano nelle terre dei  S.Martino,  nel 1388 un arbitrato riconfermò Rondissone tra i possedimenti del Marchese Teodoro di Monferrato. Verso la metà del XV secolo i Conti Catalano e Antonio Valperga ricevevano dai Signori del Monferrato l'investitura del Comune, col divieto di promuovere “....1'esecuzione delle scomuniche e censure in odio agli uomini di Rondissone. Nel 1533 il comune prestava omaggio e la fedeltà al legato Cesareo ed aveva conferma di Statuti e privilegi. Risale a questo secolo la costruzione del castello o, più precisamente, della fortezza di forma quadrata che si stagliava nella parte più alta del paese. Tale costruzione, tuttavia, non costituiva la dimora dei Signori del luogo ma, probabilmente, venne eretto a scopi difensivi e per immagazzinare merci e provviste alimentari. L'ultimo proprietario, secondo quanto asserito dal Bertolotti, fu il Marchese Alfieri di Sostegno. Del fortilizio non rimane che un'arcata, posta all'ingresso di una stretta via che attraversa il rione denominato "Castello". Sempre da Bertolotti apprendiamo che "Nel 1481 era pievano di Rondissone D.Milano di S.Giorgio, cui deve essere successo D. Gais, che nel 1517 cedeva la cura a Giulio Barberis di San Giorgio Canavese., l'ebbe dopo D. Rostagni che la rassegnò nel 1534 a D. Antonio di Pocapaglia. Agli inizi del XVII secolo, morto Francesco Gonzaga, Duca di Mantova e Monferrato (1612), l’ambizioso Carlo Emanuele I° di Savoia occupò i territori monferrini, impossessandosi di Rondissone e della gran parte dei comuni della zona. Nel 1616 i consoli Vincenzo Quaranta, Antonio Angioni e i consiglieri Antonio Salino, Alberto Bosio, Pietro Boggio e Bartolomeo Rubato prestarono giuramento di fedeltà ai Savoia. Nonostante lo Stato Sabaudo riconsegnasse, dopo alcuni anni, l'agognato territorio a Ferdinando Gonzaga, fratello del defunto Francesco, non fu l'ultimo tentativo di conquista.

Nel corso della Guerra dei Trent’anni (1618/1648), Carlo Emanuele I° nel 1627 si schierò a fianco degli Spagnoli e degli Imperiali contro il candidato francese alla successione nel Monferrato, Gonzaga Nevers. Nello stesso anno, dopo l'occupazione francese di Saluzzo e Pinerolo, iniziò la guerra di Casale che si concluse con l'armistizio di Cherasco (1631). Il Monferrato venne assegnato ai Gonzaga Nevers (ritornerà ai Savoia nel 1713, con il trattato di Utrecht), ma alcuni comuni, tra i quali Rondissone, furono aggiudicati a Vittorio Amedeo I°, successore di Carlo Emanuele di Savoia. Tra il 1759 e il 1763 venne edificata la nuova Chiesa parrocchiale, consacrata ai Santi Vincenzo ed Anastasio; in stile barocco, su disegno dell'ingegnere Bruschetti, "non priva d'eleganza.." ha ".. gli altari muniti di balaustrate marmoree" sul  piazzale dinnanzi alla Chiesa, a fine Ottocento, si ergeva ".. un'alta croce votiva, posta in tempo delle nostre ultime battaglie". Di tale croce non esiste più traccia e non è possibile stabilire sino a quando continuò a rimanere sulla piazza antistante la Chiesa; probabilmente, nello stesso punto venne eretto, dopo la Il Guerra Mondiale, il Monumento ai Caduti, opera del Betta. Sempre nel corso del 700 si costruì la Cappella della Beata Vergine delle Grazie. Ancora oggi conserva molti ex voto, donati dalla popolazione per grazie ricevute. interessante è il suo campanile di forma triangolare, tra i pochi esempi in Italia. Altrettanto antica doveva essere la Chiesa di S. Domenica, situata all'incrocio tra via C. Battisti e via G. Mazzini e demolita intorno alla metà degli anni cinquanta del Novecento.

La giurisdizione dei Savoia sul territorio di Rondissone continuò per tutto il '700; interrottasi col volgere del secolo per l'occupazione napoleonica, riprese dopo il Congresso di Vienna (1815) con il restaurato Regno di Sardegna. Lo testimoniano l’ultimo cenno storico del Bertolotti, in riferimento ai fatti legati ai moti insurrezionali in Italia contro i regimi usciti dalla Restaurazione (1820/1824) e un manifesto della Regia Camera dei Conti, datato l818. Questo riguarda le nuove tariffe e "il regolamento per l'esercizio del pedaggio stabilito sul ponte della Dora Baltea presso Rondissone", mentre il Bertolotti cita l'ordine che Carlo Felice diede a Carlo Alberto nel 1821 di  recarsi a Novara "...venne egli a Rondissone, ordinando l'artiglieria di ivi raggiungerlo, come fece". Nel corso del XIX secolo Rondissone continuava a basare la propria economia sull'agricoltura, come la maggioranza dei piccoli centri piemontesi.

Verso fine secolo il Comune "fa parte del mandamento, collegio elettorale ed officio di posta di Chivasso e della Diocesi di Torino'. La campagna veniva descritta come ". assai fertile.. "- in particolare per l'abbondanza di acque sorgive utili all'irrigazione- dove si producevano frumento, granoturco, segale, fieno.

Nonostante la presenza di altre attività, quali quelle legate a due fornaci, oppure all' artigianato o al commercio, la popolazione (che nel 1878 contava quasi 2000 anime) era per la gran parte ". .applicata all’agricoltura'. Cosi descrive Rondissone il Presidente della Commissione Censuaria, in una relazione del gennaio 1890: " La superficie totale del territorio è di ettari 913,8316,   l'indole del clima è molto variabile.., le piogge e le nevi abbondanti  eccettuati i mesi di luglio e agosto in cui quasi sempre si soffre la siccità,...le brine sono abbondantissime e rovinano i raccolti in primavera... Parte del territorio, verso mattina, viene talvolta inondato dalle acque delta Dora Baltea. Metà dei terreni arativi si seminano a frumento e segala, t'altra metà si coltiva a prato e granoturco. La maggior parte dei terreni si coltiva dai proprietari stessi e la restante si da in affitto ed a mezzadria. La manodopera in agricoltura è scarsa... Le case coloniche sono composte di stanze quasi tutte al piano terreno con stalle e tettoie attigue e piccoli cortili. La proprietà è molto divisa, la media dei poderi non arriva a 38 are. I boschi hanno poca importanza.. .non sono utilizzati a pascolo...". Il documento evidenzia come lo sfruttamento della campagna - 831 ettari produttivi su circa 914 ettari di superficie - non si discosta per tipologia della principali colture da quello del circondano della pianura torinese. Poco importante la presenza dei pascoli, anche se, visto il consumo di fieno, non è da escludersi la presenza di bestiame, non è chiaro, ne risulta dal documento, se da cane, da latte o da lavoro. La qualità dei prodotti viene descritta come abbastanza scadente, se si esclude il granoturco; essi, comunque, non si vendono fuori dal paese, ma sono consumati dalla comunità locale. Quindi economia basata sull'autoconsumo per una comunità formata da piccoli e piccolissimi proprietari che coltivano direttamente i propri fondi:pochi i beni ceduti a mezzadria o in affitto, ad eccezione di quelli comunali o della “Congregazione di Carità” questa realtà, piuttosto statica, con una scarsa presenza di braccianti (il cui compenso giornaliero era in quell'anno di 2 lire), si aggiungevano i periodi di siccità e le inondazioni.

Un quadro di profonda arretratezza economica e sociale, non disgiunto da quella grave recessione agricola abbattutasi sulle campagne nazionali ad iniziare dalla metà degli anni Settanta dell'Ottocento. Una profonda crisi che si rileva, per esempio, dall'analisi dei dati demografici registrati nella Rondissone dell'ultimo ventennio del secolo. Ad una natalità che continuava a rimanere molto alta, si contrapponeva un'alta mortalità: nel 1881 (su una popolazione cresciuta sino a 2180 abitanti) si registra un tasso di natalità del 32,5 per mille ed un tasso di mortalità del 30,73 per mille, agli stessi dati si evince come gli anni 'neri' si  co11ochino tra il 1883 e il 1885, quando il tasso di mortalità supera quello di natalità, con cifre mai più toccate in seguito. Sono le conseguenze della devastante epidemia di colera abbattutasi nella zona nel 1884,  Rondissone passa da un saldo biologico di 29 unità nel 1884 a  - 7  nel 1885. Le fonti esaminate non permettono di stabilire con precisione quali possano essere state, oltre al colera, eventuali altre cause di recrudescenza della mortalità in quell'arco di tempo. Un mancato raccolto - dovuto, per esempio, ad una o più grandinate, calamità frequente nella nostra zona - lo straripamento di un fiume erano eventi di per se sufficienti a gettare sul lastrico buona parte della comunità e renderla più debole ed aggredibile dalle malattie. Oltre che per fattori legati al clima le cifre dei decessi potevano puntare verso l’alto soprattutto a causa delle malattie epidemiche, una vera falcidie specie per i bambini in tenera età. Se superare i rischi del parto costituiva un primo passo importante nell'esistenza di chi nasceva contadino, altrettanto lo era raggiungere i primi cinque anni di vita. Malaria, tubercolosi, pellagra, febbri tifoidee, difterite erano solo alcune delle malattie che potevano, in quell'epoca, ridurre drasticamente nel numero intere famiglie. Nel 1884 a Rondissone una relazione della commissione comunale di sanità porta il Consiglio a decidere la chiusura delle scuole per un epidemia di difterite. Nell'agosto del 1886 un verbale di seduta del consiglio attesta la morte per colerina di un contadino di 25 anni: allo scopo di arrestare per quanto possibile tale morbo...." si delibera" . . . di far procedere alla disinfezione della casa, del mobilio e lingeria della famiglia del defunto e di mettere questa in osservazione, di far eseguire una minuta e rigorosa visita in tutti i pubblici esercizi, alle stalle, alle corti del paese, ordinando la maggior nettezza possibile. Nel complesso era la povertà il comun denominatore di questi individui; che si trattasse di fittavoli, mezzadri, piccoli proprietari il tenore di vita era pressappoco lo stesso. Sulla tavola dei rondissonesi, come su quelle di molte famiglie contadine della Regione, il pane, quasi mai di grano, regnava sovrano, oppure la polenta, raramente accompagnata dalla carne e poi le patate, i minestroni di riso e legumi, che riempivano lo stomaco e riscaldavano specie in inverno. Alimenti come la carne il latte, la frutta o la verdura non si mangiavano che nelle feste "grandi" o erano riservati ai malati.

Per la gran parte dei lavoratori condizioni di igiene precaria,legate per lo più alla fatiscenza delle abitazioni e alla mancanza di istruzione. Nell’insieme la situazione che emerge mostra come Rondissone, agli albori del Novecento, non si discostava dalle caratteristiche tipiche delle realtà rurali piemontesi dell’epoca. Un'economia agricola prevalentemente di autoconsumo, con una polverizzazione della proprietà e un limitato mercato di scambi; caratteristiche demografiche che riprendono, nella sostanza, il modello di alta natalità e alta mortalità; una scarsa mobilità territoriale, scalfita solo parzialmente da fenomeni migratori; una massiccia presenza del lavoro contadino nei settori professionali. Non bisogna dimenticare che, parallelamente ai gravi effetti della 'grande depressione" gli anni Ottanta del XIX secolo, rappresentano per l'Italia e per il Piemonte l'inizio del "decollo industriale". Tuttavia, non sembra che gli effetti della "modernizzazione" abbiano concorso a mutare il panorama e l'assetto sociale del nostro Comune, sono interessanti, a questo proposito, i risultati di un'indagine svolta sul registro delle domande di passaporto, richieste dai rondissonesi tra il 1900 e il 1915. Dall'esame del documento, le professioni sembrano riflettere ancora la composizione riscontrata nell'ultimo ventennio del secolo precedente Infatti, sia per i maschi sia per le femmine, i mestieri legati all' agricoltura (braccianti e contadini) contano le percentuali maggiori, seguiti da quelli dell' artigianato; pochissimi tra i richiedenti si definivano operai oppure indicavano una professione inerente l'industria. Pur con tutte le limitazioni attinenti a questo tipo particolare d'indagine, per Rondissone sembra che il '900 si apra senza grosse novità ne dal punto di vista economico ne da quello sociale. Nel nostro secolo la vocazione agricola del paese muterà abbastanza lentamente; sarà soltanto con il secondo dopoguerra, in particolare negli anni '60 e '70, con l'immigrazione prima dal nord-est e poi dal sud Italia che Rondissone assisterà ad una decisiva svolta economica, sociale e anche urbanistica. (Elsa Capella)